Pomodoro pelato addio. Anche in Italia è schiacciato dai sughi pronti


La stagione del pelato è passata. Il pomodoro pelato è in via di estinzione. Schiacciato dalla salsa e dai sughi pronti, tradito dalla sua stessa patria, l’Italia del Sud. Se negli anni ’80 il celebre pomodoro oblungo - che si chiama pelato anche prima d’essere sbucciato e messo in lattina -, rappresentava la metà del consumo italiano dei prodotti lavorati, oggi è poco sopra il dieci per cento. Il suo destino sembra segnato: diventare un prodotto di nicchia, nella miglior ipotesi nelle vetrine delle catene per gourmet se il Farinetti di turno lo strapperà a questo presente di vecchia ballerina di terza fila, sugli scaffali della grande distribuzione, convincendo invece i consumatori che è una prelibatezza speciale, e costosa. Sempre una questione di cenerentole e scarpette, insomma.
 
E’ questo uno dei principali dati che emerge dalla ricerca presentata questa mattina, giovedì 17 novembre, alla Camera, dall’associazione ambientalista Terra!: un’indagine a cura di Fabio Ciconte e Stefano Liberti durata cinque mesi, nell’ambito della campagna #Filierasporca, e denominata “Spolpati”.  .
 
Altri fattori nuovi che emergono dall’indagine (che infine indica anche soluzioni praticabili): il ruolo tirannico della grande distribuzione, la scomparsa del caporalato (e dello sfruttamento della manodopera straniera) in favore della raccolta meccanizzata (per motivi economici, non etici), lo scandalo dei finti braccianti e la fine della leggenda dell’invasione del pomodoro cinese.
 
I dati della produzione. Ogni anno in Italia si producono circa 5 milioni di tonnellate in 70 mila ettari (province di Foggia, Caserta, Potenza e Parma, Piacenza, Ferrara). L’Italia è il terzo trasformatore mondiale, dietro Usa e Cina, e rappresenta la metà della produzione europea. Pelati, passate e polpe vengono esportate al 60 per cento. Il fatturato complessivo è sui tre miliardi di euro.
 
Chi soffre di più della crisi, come detto, è il pelato, quello che affonda le sue radici soprattutto in Puglia e la sua onorata storia nella più sugosa tradizione famigliare italiana, quello che è un tempo era sinonimo di qualità e veracità, mentre la informe passata industriale era vista con sospetto soprattutto da chi ancora ricorda una nonna intenta a fine estate a bollire, pelare e conservare.  .
 
Le aste al ribasso. Le aste, basate sul doppio ribasso, funzionano così: l’acquirente della GDO chiede via mail agli industriali di fare un’offerta per una certa partita di prodotti e poi, basandosi sull’offerta più bassa, convoca un’altra asta on-line, della durata di poche ore, in cui i partecipanti sono chiamati a calare ulteriormente il prezzo di vendita. Il risultato è che spesso gli industriali vendono praticamente sotto costo prima della stagione, senza sapere come andrà il raccolto, e si rivarranno sui produttori per rientrare dei prezzi ribassati.
 
Divisione Nord e Sud. Al Sud, su 30 mila ettari, lavorano 84 impianti di trasformazione e 39 organizzazioni di produttori. Al Nord, su 40 mila ettari, 26 industrie e 14 organizzazioni. Facile capire, da questi numeri, dove la filiera sia più razionale.
Al Sud le organizzazioni dei produttori (OP) non sono in gran parte dei casi controllate da reali produttori ma da ex commercianti che svolgono un ruolo di intermediazione tra la parte agricola e quella industriale. La lontananza del principale luogo di produzione (la Capitanata) dagli impianti di trasformazione (in provincia di Salerno) è un primo elemento disfunzionale, che ha permesso il proliferare di queste figure di intermediari. Gran parte delle organizzazioni di produttori che trattano il pomodoro nel Sud Italia servono principalmente a intercettare i fondi europei mentre non hanno alcun ruolo nella pianificazione agricola (semina e raccolta), né nella logistica dei trasporti.
 
Il carattere non vincolante del contratto tra industriali e produttori non consente di attuare una seria programmazione di filiera: la parte agricola e quella industriale tendono a perseguire strategie opposte e non conciliabili. Il predominio delle OP di commercianti non fa altro che esacerbare questa situazione, alimentando un sistema di intermediari non virtuosi, ma anzi disfunzionali.
 
Nel distretto Nord, con sede a Parma, le OP sono reali e il contratto con gli industriali viene rispettato prevedendo correttivi legati alle variabili (atmosferiche) della raccolta e della manodopera: dove la produzione eccede, il prezzo di acquisto scende; quando invece c’è carenza l’industria paga la materia prima leggermente di più. Questi meccanismi protettivi consentono di determinare un vero e proprio indirizzo di filiera. Il confronto tra il distretto Sud e quello Nord è sconsolante: il Sud, che ha le maggiori potenzialità, è sempre più in affanno, mentre il Nord riesce a gestire adeguatamente il settore.
 
La meccanizzazione. Il caporalato illecito sta scomparendo. Al Nord la raccolta è interamente meccanizzata e al Sud è all’85 per cento, semplicemente perché il costo è inferiore: un autotreno da 26,4 tonnellate costa 350 euro con raccolta meccanizzata e 352 euro con manodopera, pur sfruttata e sottopagata. Non va a discapito della qualità: ci sono varietà più resistenti, che non si ammaccano, e che incrociate (non modificate) geneticamente tra loro danno vita a ibridi ancor più resistenti, per esempio il Docet.
 
Lo scandalo dei finti braccianti. Soprattutto nel foggiano sono esplose le truffe all’Inps, quantificata in un danno erariale di 400 milioni di euro per 50 mila presunti truffatori. Come mai gran parte dei braccianti risulta aver lavorato giusto 102 giornate? Perché 102 giornate è il numero minimo di legge per ottenere l’indennità di disoccupazione, il pagamento dei contributi annuali e gli assegni famigliari.  .
 
La Cina è lontana. Non è vero, assicurano gli autori dell’indagine, che nelle bottiglie, vasetti e lattine che compriamo nei supermercati ci sia materia prima cinese. Nel 2015 su 5,4 milioni di tonnellate di pomodoro fresco qui prodotto, sono state importate 64 mila tonnellate di concentrato cinese, circa 500 mila tonnellate di pomodoro fresco. Il nove per cento. Anche in questo caso non solo per il rispetto delle norme di legge, ma per una ragione di convenienza economica. Il triplo concentrato, di cui la Cina è diventata maestra grazie al know how italiano, non serve in quei prodotti. Alcune aziende italiane lo importano, lo lavorano in un breve tempo determinato, allungandolo in doppio concentrato (si chiama “traffico di perfezionamento attivo”) e lo ridanno ai cinesi per esportarlo soprattutto in Africa e Stati Uniti, dove il concentrato è molto apprezzato. Da noi no. .
 
Le proposte. Terra! suggerisce alla politica di innalzare il minimo fatturato per poter costituire una organizzazione produttiva, rendere vincolante il contratto con le industrie (come al Nord), abolire le aste on line col doppio ribasso e varare una legge sulla trasparenza fondata sull’etichetta narrante.

 

Fonte: La Repubblica.it